Due anni di purgatorio con gli impianti chiusi

Pubblicato il da sandro

Prima era il fiore all'occhiello del polo industriale di Portovesme, oggi è una fabbrica chiusa da due anni e senza una data certa per la ripresa della produzione. La parabola discendente dell'Eurallumina comincia a fine 2008: i proprietari russi della multinazionale Rusal fanno sapere ai sindacati che la fabbrica ha costi troppo elevati, aggravati dalla crisi internazionale che non lascia scampo. A marzo 2009 la raffineria di allumina (ogni anno se ne producevano un milione di tonnellate) si ferma: la cassa integrazione per i 350 dipendenti diretti dovrebbe durare un anno, giusto il tempo che le quotazioni dei metalli riprendano fiato nei mercati.


LA CHIUSURA 

Ma nel 2010 la fabbrica non riapre, anzi l'azienda chiede un altro anno di cassa integrazione. Intanto, però, la ripresa dei prezzi c'è stata: l'alluminio vola sui mercati internazionali e traina anche i l'allumina. La Rusal riattiva tutta una serie di fabbriche, Eurallumina rimane chiusa.
Lo scorso agosto, nel corso di un vertice al ministero dello Sviluppo economico, il Governo propone un piano per il rilancio della fabbrica: per abbattere i costi troppo elevati legati all'energia dovrebbe essere costruita una centrale a carbone, ma servirebbero tre anni di lavori. Per riavviare prima gli impianti si potrebbero utilizzare le caldaie già esistenti ed alimentarle ad olio combustibile, a prezzi competitivi: nel giro di 18 mesi la fabbrica potrebbe riaprire.


IL PIANO 

Ma trovare l'olio combustibile necessario e, soprattutto, al prezzo chiesto da Eurallumina si rivela presto un'impresa più difficile del previsto, tanto che finora l'accordo non è stato raggiunto. Nel frattempo le quotazioni dell'alluminio continuano a salire, la Rusal riavvia gli impianti messi in stand-by per la crisi. Tutti in marcia eccetto quello di Portovesme che a più di due anni dalla fermata provvisoria continua ad essere chiuso: nessuno è in grado di prevedere se e quando si ricomincerà a produrre allumina. L'azienda, oltre al combustibile a prezzi competitivi, chiede garanzie sul bacino dei fanghi rossi e su altre questioni, ad esempio il recupero dei crediti Iva e una diminuzione delle tasse sulla discarica.


LA BANCHINA 

Intanto la società chiede un'altra proroga della cassa integrazione: altri tre mesi, poi si vedrà. Nel frattempo dà qualche segnale di risveglio e chiede l'autorizzazione a riattivare la banchina del porto industriale. Richiamerà a lavoro 40 dipendenti su 400 ma non nella prospettiva di riavviare la fabbrica: le gru scaricheranno le navi di carbone destinato alla centrale dell'Enel.

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