Vynils, la mobilitazione degli operai

Pubblicato il da sandro

Contestati i sindacati: «Hanno fatto chiudere gli impianti»
                  Sabato 21 novembre 2009

 L'Eni rimane la matrigna che taglia i contratti a tempo determinato e paga 1800 euro per la potatura di un fico.
D i nuovo sulla terrazza, giurano.
 Scenderanno solo davanti a un Natale decente, con un posto di lavoro.
Solo rabbia a Porto Torres, dopo l'annuncio dei licenziamenti e della cassa integrazione per 102 operai della Vynils Italia, specializzata nel Vcme Pvc. All'uscita dalla sala mensa dell'Eni, dov'è in corso un assemblea con i responsabili provinciali dei chimici, uno zaino vola per aria. «Qua ogni porcata passa sotto silenzio», inveisce un operaio. Fuori l'aria è quasi rarefatta. Un'altra lettera di licenziamento è arrivata.
Lavoratori bravi, esperti, dice l'azienda. Precari.
 Peccato.
Dentro una tuta blu della Vynils c'è Marco Olìa, trentun anni e 500 euro di mutuo. Il giorno prima della lettera di licenziamento aveva comprato la cucina, con la finanziaria. Antonio Salaris, 25 anni, si sarebbe dovuto sposare il prossimo anno, fresco di mutuo pure lui. Marcello Biosa vive intrappolato nel presidio permanente all'Enichem, in difesa del posto di lavoro.
Segue a distanza il padre, che si è ammalato.
 È la generazione X, quella che non conta niente.
Gente che sa fare il suo mestiere, duttile, mobile, capace di spostarsi senza un fiato da un impianto all'altro, la testa infilata nel cappio di un lavoro a tempo.
«Siamo morti che camminano, qui all'Eni le persone vanno via, non è vero che verranno reintegrate». In cinque sono già stati licenziati, per altri cento è cassa integrazione. I miracoli dai commissari dell'azienda petrolchimica non arrivano.
La Vynils di Porto Torres è quella delle gomme che piacciono alla Good Year, del pvc delle sacche delle flebo, dei cruscotti, delle carte di credito.
Dei prodotti di eccellenza, super testati, super lavorati. Per questo, più cari.
Chi tira la carretta è la nuova generazione, operai mandati al macero. Delle cento teste che si contavano ieri mattina nella sala mensa del petrolchimico, ottanta non avevano più di trent'anni.
Nei giorni scorsi in cinque si sono riuniti nel tinello di una casa e hanno deciso di non mangiare più, almeno fino a quando uno importante non si fosse preso la briga di spiegargli perché dovevano andare a casa.
Operai che alle nove erano salvi, a mezzogiorno erano licenziati.
 «Sarebbe bastata la proroga di una settimana per il licenziamento e almeno la cassa integrazione straordinaria sarebbe arrivata»,
dice Marco.
 L'ingegnere li ha incontrati e loro, il giorno dopo, hanno interrotto lo sciopero della fame. Appena ci saranno le condizioni verranno riassorbiti, è la promessa.
L'Eni rimane la matrigna che taglia i contratti a tempo determinato e paga 1800 euro per la potatura di un fico nella zona industriale; che per fare una manciata di pannelli in cartone gessato sborsa 15mila euro.
 Quelli della nuova generazione si devono arrangiare.
«È la rottura di ogni regola, si va dove si lavora come quarant'anni fa, senza legge né tutela. Poi, quando cadi da un ponteggio, tanto non lavori mai per nessuno, «davi solo una mano a un amico».
La vecchia guardia ha la faccia di Pietro Marongiu, che già in assemblea rivendica il diritto a essere incazzato. Gli mancano tre anni per andare in pensione.
 Sta entrando nella lista nera, un'altra volta, come nell'87.
 «Ma io sono forte, sa?
Allora ero andato da mia moglie.
Ci hanno detto che dobbiamo fare sacrifici ma la verità è che li facciamo solo noi. Tante cose sono cambiate.
A cominciare dalla moderazione dei sindacati: vanno a trattare ma in realtà hanno già subìto. Prendiamo la Vynils:
a luglio, i vertici nazionali dei sindacati fanno i loro grandi incontri, tanti bei paroloni. Ma in ottobre firmano per la chiusura dello stabilimento di fenolo e cumene. Fenolo e cumene significano Pvc, senza di essi l'impianto è chiuso».
Qualche metro più in là, nella sala mensa, la temperatura sale. Cgil, Cisl e Uil fissano i prossimi obiettivi e corrono contro il tempo per tentare di salvare Vinyls Italia.
I lavoratori sfiancati erano già stati gelati il giorno prima dalla richiesta di cassa integrazione per 101 di loro presentata dai tre commissari.


PATRIZIA CANU 


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